È evidente che la presenza di paradisi fiscali all’interno dell’Unione Europea si porta dietro una serie di complessità e di meccanismi economici che hanno implicazioni importanti sull’andamento e il monitoraggio dei mercati globali.
Riprendendo alcune recenti analisi pubblicate su Il Sole 24 Ore, proviamo oggi a cercare di capire come la politica finanziaria di alcuni Paesi europei con regole diverse rispetto a quelle tradizionali abbia delle ripercussioni sull’intero sistema.
Pensiamo per esempio a nazioni come Irlanda e Paesi Bassi: entrambe le giurisdizioni, si sa, attraggono società che hanno scarsa presenza sul territorio nazionale. È un modello capace di attirare enormi capitali esteri, tassandoli poco o nulla in percentuale, e di rendere tali Paesi veicoli di “capitale fantasma”.
Solo gli Stati Uniti investono ufficialmente circa 450 miliardi di dollari in obbligazioni e azioni emesse da compagnie irlandesi e più di 500 miliardi in quelle olandesi: di fatto queste compagnie non sono né irlandesi né olandesi, ma semplicemente scatole legali vuote.
Per capire quanto speciali siano i Paesi Bassi e l’Irlanda basta un confronto con Paesi come Germania e l’Italia: qui la quasi totalità delle obbligazioni societarie emesse, ovvero il 97%, appartiene a compagnie nazionali. In sostanza, la politica economica internazionale deve fare attenzione alle reali esposizioni finanziarie per non basare le decisioni su dati e fatti distorti dai paradisi fiscali.
Emerge un modello economico molto differente tra paradisi fiscali e Paesi con fiscalità ”tradizionale” all’interno del territorio europeo, e i rispettivi dati difficilmente si possono comparare proprio per la loro diversità intrinseca di fondo.
Pensiamo a un altro esempio. In Lussemburgo, Paese fondatore dell’UE e tra i maggiori paradisi fiscali del continente, ogni dipendente di una multinazionale americana produce ogni anno quasi 9 milioni di dollari di utili. Mentre in Italia ogni dipendente di una società Usa produce 45.000 dollari, in Germania ne produce 46.000, in Francia 36.000 e in Spagna 34.000. Come può, il Lussemburgo, Paese con un prodotto interno lordo che è lo 0,1% del Pil mondiale, registrare questi numeri esorbitanti in confronto alle potenze industriali europee? Guardando queste cifre i profitti registrati dalle società statunitensi in Lussemburgo sono pari al 94% del Pil del Granducato.
Gli esempi sopra riportati sono sufficienti a capire che difficilmente si possono comparare i dati tra Paesi interni alla comunità Europea, né tanto meno basare scelte economiche globali su questi numeri che sono evidentemente falsati dalla presenza di una fiscalità che non rientra nei canoni tradizionali.
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