Sono tre i paradisi fiscali in Europa contrari all’introduzione di un’aliquota minima globale del 15 per cento sui profitti d’impresa: Irlanda, Estonia e Ungheria. Vediamo più nel dettaglio che cos’è la Global Tax e perché questi paesi ne stanno rifiutando l’applicazione.
L’accordo globale per tassare le multinazionali, richiesto dall’amministrazione americana di Joe Biden e coordinato dall’OCSE, è stato firmato giovedì 1º luglio 2021 dai rappresentanti di 130 paesi. L’obiettivo è quello di imporre una tassa minima globale sui guadagni delle grandi multinazionali.
Cercano di allungarne i tempi di implementazione i governi di Irlanda, Estonia e Ungheria, i tre paradisi fiscali in Europa che non hanno aderito all’accordo. Le leggi per l’effettiva applicazione sono attese per il 2023, i dettagli saranno precisati a fine ottobre 2021, durante il Vertice del G20 di Roma.
L’Irlanda non desidera aderire all’accordo per due motivi principali:
- il paese offre una tassa sui profitti pari al 12,5 per cento;
- concede ad alcune grandi multinazionali americane che hanno sede fiscale nel paese l’aliquota del 6,5 per cento.
Anche in Ungheria l’aliquota fiscale sul reddito d’impresa è particolarmente bassa: negli ultimi due decenni si è dimezzata dal 18 al 9 per cento. Per questo motivo l’opposizione alla Global Tax, nel paese, è ancora più ferma: la politica fiscale permissiva ha aiutato l’economia a crescere e ha favorito la crescita del consenso tra i cittadini.
In Estonia, le tasse si pagano solo sui profitti distribuiti. Dunque, se si decide di reinvestire i profitti societari nella società stessa, senza distribuirli ai soci, l’aliquota dell’imposta sui redditi è pari allo zero per cento. Con l’introduzione del nuovo accordo globale, l’Estonia rischia di vedere altri paesi raccogliere i profitti non tassati al momento della loro generazione.
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